Antisemitismo dilagante, aumentano le persecuzioni dettate dal fanatismo

Pubblicato da il 11 gennaio 2012
RAZZISMO – Si moltiplicano gli episodi di intolleranza

Una bambina ebrea di 7 anni è stata presa a sputi, minacciata di aggressione e insultata al grido di “puttana” mentre si recava a scuola.
Ho paura che mi facciano del male”, ha raccontato in tv la piccola scolaretta. La troupe televisiva che si è recata sul posto per effettuare il servizio è stata accolta a pietrate: auto distrutta, un reporter ferito e l’attrezzatura da ripresa rubata.

Si tratta solo di uno della lunga serie di episodi antisemiti verificatisi nel paese il cui parlamento ha da poco autorizzato i cosiddetti “comitati per la purezza di quartiere”, piccole commissioni di fanatici fondamentalisti che decretano l’ammissione nei propri quartieri e l’espulsione degli indesiderati. Anche le forze dell’ordine, quando si avventurano nelle zone abitate dai più estremisti, vengono spesso intimidite e qualche volta picchiate. In qualche caso è dovuto intervenire addirittura l’esercito: una base militare è stata assediata, è stato appiccato il fuoco ad alcuni automezzi e molti soldati sono stati presi a sassate.

Ad ogni modo le istituzioni mostrano parecchie ambiguità nei confronti della terribile ondata razzista: pur schierandosi a parole contro l’intolleranza esagitata di questi esaltati, nei fatti non pongono in essere alcuna misura tesa a contrastare il fenomeno. A testimonianza del crescente clima di antisemitismo montante nel paese, lo scorso 19 novembre la polizia ha costretto alla chiusura un’emittente israeliana, adducendo come scusa la mancanza della licenza. Così è calato il silenzio sulla radio, che trasmetteva in ebraico.

Il cantante ebreo Erez Yechiel

Il cantante ebreo Erez Yechiel, condannato a 39 nerbate

Giova poi alla discussione ricordare quanto accadde il 27 agosto di due anni fa, quando uno speciale “tribunale del popolo” autocostituosi inflisse al cantante ebreo Erez Yechiel una pena esemplare: 39 nerbate con una cinghia di pelle di asino e di toro (secondo i sacri dettami). La sua colpa: aver cantato davanti a un pubblico misto di uomini e donne. La speciale esecuzione venne anche filmata e postata sul web, con tanto di spiegazione, dalla quale si può apprendere che il condannato fu legato a un palo di legno, con la faccia rivolta a nord (“la direzione da cui vengono le inclinazioni cattive”), le mani legate con una corda azzurra (il colore della misericordia). Convinto con le buone o con le cattive, l’artista dichiarò – chissà quanto volontariamente – di accettare la pena “per essere liberato dal mio peccato”.

Del resto, stiamo parlando di un paese che concede la cittadinanza (e quindi il passaporto) su basi razziali, nel quale esistono fanatici che pretendono addirittura l’espulsione delle mogli straniere. Di un paese nel quale se ci si vuole sposare con un rito differente dall’unico riconosciuto, si è costretti a recarsi all’estero.

Ce n’è abbastanza per lanciare l’allarme, prima che possa verificarsi quanto già avvenuto in tempi non tanto lontani, quando in uno stato dell’Europa centro-occidentale attecchì la malsana ed insulsa idea della responsabilità collettiva della razza ebraica. Un principio tribale ed arcaico – che tante volte, nel corso della storia, ha generato orrori senza fine – figlio di una insulsa ideologia che pretende di dividere il genere umano in razze inferiori e superiori in lotta per il diritto di dominare il mondo. Tipica di questo pensiero distorto è l’ossessione per la purezza etnica, che costituì uno dei capisaldi della dottrina della Germania nazista. Un riduzionismo radicale, che minimizza l’estrema complessità dell’uomo facendone una rozza e semplicistica questione di sangue: non importa chi tu sia, che talenti tu abbia in dote, quali esperienze ti abbiano segnato, la cultura e l’intelligenza che ti animino; sei un ebreo, o sei un ariano. Il resto non conta.

Ce n’è abbastanza per denunciare con forza quanto sta accadendo, prima che queste idee pericolose si diffondano. Il rischio è enorme: una comunità che sostenga la propria superiorità nei confronti dell’intero consorzio umano può arrecare danni incalcolabili alla civiltà, intesa – nella maniera in cui la definì il filosofo spagnolo Ortega y Gasset – come l’impegno costante nel respingere l’uso della violenza ai margini di qualsiasi discorso. Civilizzarsi significa fare della forza bruta l’ultima ratio, affaticarsi nell’escogitare sistemi di leggi e regole condivise che controllino ed imbriglino l’aggressività, che permettano di superare la legge animale del più forte. Ma una comunità che imprima ad i suoi membri la convinzione di essere migliori di tutti gli altri uomini non potrà fare altro che insegnare il disprezzo verso quanti non appartengono ad essa. Praticherà l’endogamia più rigorosa, aspirerà all’autoisolamento per timore della contaminazione con gli impuri, tenderà ad alzare mura e ad abbattere ponti, istituirà un sistema di apartheid e di oppressione verso gli esseri ritenuti inferiori. Insomma allontanerà da sè sprezzante le altre comunità con qualsiasi mezzo la forza gli consenta. La forza come prima ratio, che per Ortega y Gasset costituiva precisamente “il carattere specifico della barbarie”, segnando il rifiuto di obbedire ad un sistema giuridico universale (impossibile, se in via preliminare non si riconosce il valore degli altri appartenenti all’umano genere).

Una siffatta comunità, se lasciata continuare su questa strada che vede nemici da combattere ovunque, giungerà a vette sempre più alte di paranoia: inventerà prescrizioni sempre più stringenti, impelagata nella fobia di perdere la propria unicità mescolandosi agli impuri. Ben presto sarà dominata dall’angoscia, che tenterà di placare esasperando le proprie folli convinzioni.

Potrà accadere, ad esempio, che una bambina di 7 anni venga presa a sputi, minacciata e insultata al grido di “puttana” mentre si reca a scuola.
Non perché ebrea, ma perchè non abbastanza ebrea.

Hadassa e Naama Margolese

Hadassa Margolese e sua figlia Naama Margolese, 7 anni, presa a sputi, minacciata e insultata al grido di “puttana”, perché non abbastanza ebrea

La piccola scolara, Naama Margolese, è stata infatti presa di mira da un gruppo ultra-ortodosso nel quartiere di Beith Shemes, a pochi chilometri da Gerusalemme, perché – pur essendo religiosa e indossando un abito a maniche lunghe e una gonna – il suo abbigliamento è stato giudicato poco decoroso.

Su Channel 2 la madre della bambina, Hadassa Margolese, si è giustamente chiesta: “Se queste cose avvengono oggi e le autorità non fanno niente, cosa avverrà fra dieci anni?”. E tutti hanno potuto notare come la signora, vestendo col fazzolettone in testa e la gonna lunga, non sia affatto un’ebrea secolarizzata. Evidentemente però lei e sua figlia non sono abbastanza kosher per i settari che imperversano nel sobborgo di 87 mila abitanti dove la bimba va a scuola.

In una siffatta comunità potrà succedere che una radio pacifista venga fatta chiudere perché reputata contraria agli interessi nazionali. Il vice-presidente della Knesset, Danny Danon, aveva da tempo puntato l’emittente Kol Hashalom perché, a suo giudizio, “incitava contro Israele” (ossia si opponeva al razzismo dominante nello stato ebraico). La radio non aveva la licenza, trasmettendo dal 2004 dai Territori Occupati, in teoria fuori dalla giurisdizione israeliana. Il nocciolo della questione, però, era un altro: nelle trasmissioni messe in onda si denunciavano le torture e le violenze perpertrate dal glorioso Tsahal, l’esercito più morale del mondo. Si capisce come questi ebrei moderati, che osano criticare le politiche razziste di stato, schedati dai fanatici come “self-hating Jews” (ebrei che odiano se stessi), possano costituire una minaccia nazionale.

O ancora potrà avvenire che un gruppo di rabbini si autocostituirà in tribunale con il sacro compito di “riportare gli ebrei alla religione” giudicando e condannando a 39 nerbate un cantante colpevole di essersi esibito davanti a un pubblico composto da – sacrilegio – uomini e donne insieme.

Così si spiega come mai un numero crescente di israeliani (il 59% secondo un’indagine condotta dal Menahem Begin Heritage Center nel 2008), non potendone più delle angherie dei gruppi ultrareligiosi e delle istituzioni governative che nei fatti li sostengono, si rechi presso le ambasciate straniere per informarsi sulla possibilità di ottenere una seconda cittadinanza con conseguente passaporto.
Nel 2005, l’ufficio centrale di statistica del paese ha comunicato che 650 mila persone (circa un decimo della popolazione di Israele), espatriate da oltre un anno, non avevano fatto ritorno nella Terra Promessa.

Evidentemente questi ebrei che odiano se stessi sanno riconoscere uno stato nazista, quando ne vedono uno.

Antonio Schiavone
11 gennaio 2012

Centro Servizi Acerra