Asili nido: una modesta proposta

Pubblicato da il 15 aprile 2010
Asilo nido

Adolescenti narcotizzati dalle droghe, giovanissimi che ingurgitano alcol con il solo scopo di ubriacarsi il più rapidamente possibile, dodicenni che fanno “servizietti” ai compagni di scuola per 5 euro. Vite perdute, spezzate, irrimediabilmente inquinate dal nichilismo che – nonostante la maggior parte di loro non sappia neppure cosa significhi questa strana parola – satura l’aria della nostra stanca civiltà.

Occorre ricordare quanti – idioti – si ammazzano a 250 all’ora in autostrada o crepano di overdose alla prima festa rave cui partecipano: statisticamente, dopo gli ultra-settantacinquenni, quelli che muoiono di più nel nostro paese sono i giovani dai 15 ai 25 anni (il limite inferiore è in diminuzione). Cretinismo ambientale non curato, dovrebbe essere la diagnosi scritta a caratteri cubitali sulla cartella clinica che attesta il decesso.

Ma non voglio riferirmi a loro. No, il mio pensiero è rivolto a tutti gli altri: i sopravvissuti, dei quali anche io faccio parte (ho quasi 24 anni). Ad una età nella quale si dovrebbe ormai essere uomini maturi, siamo ancora infanti. Non abbiamo, né le vogliamo, responsabilità. Cresciuti nel benessere materiale, non abbiamo neppure una pallida idea di cosa significhi la parola “sacrificio”. Nessuno ci ha insegnato che la vita è dura, lì fuori. Crediamo che il mondo sia al servizio dei nostri desideri. Crediamo che tutto ci sia dovuto e brancoliamo nel vuoto di tante assenze – la famiglia, la scuola, le istituzioni – che riempiamo con gli spinelli, i rum da quattro soldi, il sesso allegro e senza impegno. Qui e adesso la nostra filosofia di vita.

Mi si obietterà che non tutti siamo così. Vero, anzi verissimo. Ma siamo maledettamente in tanti. Eppure “i giovani sono il futuro”, ammoniscono tutti i sedicenti maestri della nostra epoca. “Il mondo appartiene alle nuove generazioni”, è il mantra ripetuto fino allo sfinimento. Nulla di più sacrosanto, ma le parole – si sa – se le porta via il vento. Senza punti di riferimento, ci lasciano ad ubriacarci al bar dell’angolo – ebeti e disperati.

D’altra parte perché mai dovremmo impegnarci, studiare fino a tardi, sacrificare un po’ del nostro presente in questa società dove una puttana – pardon, escort – guadagna in un giorno più di qualche centinaio di ricercatori insieme?
Hanno svenduto la dignità per denaro e ce lo insegnano come regola di vita. Vediamo i nostri genitori arrancare per tirare avanti la carretta; che si arrabattano tra straordinari non pagati e umiliazioni permanenti nella speranza di mantenere il posto di lavoro per poi essere sbattuti fuori a causa della congiuntura economica sfavorevole.

Questo è solo un altro dei danni – a giudizio dello scrivente il più grave – causati dall’unica ideologia oggi vigente e regnante incontrastata: il capitalismo. L’azzeramento e la messa alla berlina di qualsiasi valore morale. Il completo capovolgimento della realtà, dove il vizio è chiamato virtù e la somma degli egoismi individuali dovrebbe magicamente portare al benessere della comunità. E il risultato l’abbiamo sotto gli occhi: una non-società in cui gli individui sono isolati gli uni dagli altri, la solidarietà è solo televisiva e l’abulia domina gli spiriti. Il mondo degli adulti vacilla e i giovani precipitano nel baratro.

I propugnatori del liberismo ad ogni costo non si sono arresi di fronte a nulla. Sono riusciti a disintegrare il concetto stesso di autorità (senza il quale non esiste educazione, checché ne dicano gli esperti), sottraendolo dalle mani consenzienti e grondanti sangue dei nostri governanti. Distruggendo la più antica forma di solidarietà, quella familiare. Spingendo le nostre madri, per la loro indipendenza – of course – a farsi schiavizzare per dare una mano al bilancio familiare. Costringendole ad abdicare al loro ruolo di educatrici, proprio quando sarebbe più necessario per contrastare gli impulsi disintegratori provenienti da ogni parte.

Almeno per questo aspetto, avrei una modesta proposta. A Milano, tra le città più virtuose del Belpaese, un posto all’asilo nido costa al Comune 7.000 euro l’anno, ossia poco meno di 600 euro al mese. La famiglia invece sborsa in media 232 euro di retta mensile. Basterebbe, se davvero l’obiettivo degli asili nido fosse quello di accudire i bimbi e non quello di fornire occupazione a maestri e maestrine varie, versare questi 600 euro al mese per bambino alle madri (che sommati ai 200 risparmiati fanno 800 euro mensili per bambino) per ottenere un duplice risultato immediato, risparmiando anche qualche soldino: evitare alle donne l’insulto di essere sottopagate, a parità di mansione con i colleghi maschi, ricevendo il 30% in meno dello stipendio e – cosa più importante – permettere ai figli di ricevere un’educazione materna invece di essere parcheggiati in balia di estranei a cui nel migliore dei casi non frega niente di come verranno su (di casi peggiori è ricca la cronaca: abusi, maltrattamenti, violenze).

A rafforzare questa idea, basta pensare che a Roma si spendono ben 15.049 euro annui per lattante: 1.254 euro al mese, uno stipendio niente male per accudire semplicemente il proprio figlio.

Ma una simile tutela della famiglia e della maternità è troppo fascista per ricevere accoglimento. L’idea che una donna possa realizzarsi – o, peggio, essere felice – scegliendo di fare la madre è retrò e demodè. Come il buonsenso, oramai.

Antonio Schiavone

Centro Servizi Acerra