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Banchieri sul piede di guerra
ECONOMIA – La guerra è la continuazione dell’economia con altri mezzi
Nell’attesa che qualcuno abbia la bontà di spiegarci in che modo le sacre liberalizzazioni di Super Mario possano riuscire nell’immane compito di salvare la nostra economia, non nascondiamo la nostra sopresa nell’avere udito la definizione di “aberrante” uscire dalla bocca dell’eurocrate Olli Rehn (nella foto) riferendosi al declassamento operato da S&P’s di mezza eurozona.
Apprendiamo ora, con una quindicina d’anni di ritardo, che “le agenzie di rating non sono istituti di ricerca imparziali, ma hanno i loro interessi e svolgono il loro ruolo molto in linea con il capitalismo finanziario Usa”. Quando un pezzo grosso – il commissario europeo per gli affari economici e monetari dell’Unione – comincia a dire la verità, vuol dire che è arrivato il momento di preoccuparsi. Oggi gli oligarchi parlano di “complotto”, “aggressione politica” contro gli sforzi europei; ma fino a due mesi fa nessun banchiere aveva mai fatto notare che queste agenzie, ben lungi dal rappresentare la bocca della verità, sono in realtà società per azioni il cui scopo, notoriamente, è il profitto. Mai qualcuno degli addetti ai lavori aveva sollevato dubbi sull’imparzialità di tali enti commerciali, posseduti da fondi speculativi ed altre società statunitensi quotate in borsa.
Avevano voglia a scrivere, gli euroscettici, delle quote azionarie di Standard & Poor’s detenute da società di investimenti (si legge speculazioni) come Capital World Investors, Fidelity Management & Research, T. Rowe Prece Associates e BlackRock Global Investors.
Si veniva etichettati come stupidi inesperti che non capiscono nulla di libero mercato, se solo si provava a far notare che Moody’s (un’altra delle sorelle) ha tra i suoi azionisti il multimiliardario Warren Buffet tramite la sua holding Berkshire Hathaway, oltre alle già citate Capital World Investors, Fidelity Management & Research (senza dimenticare Capital Research Global Investors).
Figurarsi se si poteva sollevare la questione del conflitto di interessi relativo a queste agenzie (esse stesse quotate in borsa) che, conoscendo in anticipo il giudizio che loro medesime si apprestavano a dare, magari potevano pensare di mettere a frutto queste informazioni privilegiate – vendendo ad esempio i titoli di stato italiani prima che la decisione di abbassarne il rating venisse pubblicamente diffusa.
Fino a qualche mese fa ci veniva imposto il rispetto verso questi giudizi dei mercati, e venivano prescritte tasse e sacrifici per allinearsi ai verdetti di questi arbitri insindacabili che adesso scopriamo essere tutt’altro che imparziali.
E la denuncia viene da quegli stessi personaggi che hanno permesso tutto questo: l’intero sistema bancario europeo accetta o non accetta titoli di debito, pubblico o privato, a seconda delle valutazioni di Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch. A dare tale immenso potere a queste società divine sono stati proprio gli oligarchi europei, gli stessi che hanno disciolto l’Europa nello spazio liberoscambista mondiale sottomettendola alla globalizzazione che gli Stati Uniti hanno imposto credendo di poterla governare.
Provo un certo disagio nel leggere gli esaltati commenti riguardanti la visita della Guardia di Finanza alla sede milanese di S&P’s. Già da anni, le magistrature europee avrebbero dovuto bandire, mettere fuorilegge queste società per aggiotaggio, turbativa dei mercati, market abuse. Scopro che gli accertamenti dei finanzieri sono stati disposti dalla Procura di Trani (non di Roma o di Milano) sulla base di esposti inoltrati da alcune associazioni di consumatori (anche alle procure di Roma e di Milano): nessuno dei nostri illustri rappresentanti, il cui compito dovrebbe consistere nella difesa dei nostri interessi, si era mai neppure sognato di chiedere indagini o verifiche (tra l’altro palesemente superflue) in tal senso.
Dunque vanno rivalutate le opinioni di quanti venivano bollati di antieuropeismo se solo facevano notare come questa Europa è servilmente assoggettata al capitale, alla finanza, alle grandi multinazionali? È stato per ottenere questa Europa dei banchieri, che sacrifica il proprio popolo sull’altare della speculazione, che è stata sospesa la democrazia? È stato per tutelare questi infami interessi che si è costretta l’Irlanda a rivotare due volte per il referendum sul trattato di Lisbona? Era questa la grande visione strategica comunitaria che ha imposto le dimissioni al premier greco quando ha tentato di sottoporre a referendum le feroci austerità che sta patendo la sua popolazione?
Sono questi i motivi del ricatto all’Ungheria, il cui premier Victor Orban (eletto con il 70% delle preferenze) ha messo sotto il controllo del Parlamento la Banca Centrale del Paese? L’immane pericolo per la democrazia, come ha tuonato Barroso, consiste quindi nel tentare di porre un argine allo strapotere dei banchieri?
Come ha scritto Blondet, ormai “è chiaro che quando un governante europeo difende ‘i principi di indipendenza’, non si riferisce all’indipendenza dei popoli, ma all’indipendenza dei banchieri”.
Si spiega così l’immensa campagna orchestrata dalla libera informazione occidentale che ha dato il via a quella che negli ambienti angloamericani prende il nome di character assassination: tutti i maggiori media, di concerto, hanno preso a dipingere il primo ministro ungherese come un terribile dittatore megalomane ultranazionalista, quasi avesse effettuato un colpo di stato. Le tre sorelle del rating in perfetta sintonia di vedute hanno degradato i titoli del debito pubblico magiaro a spazzatura, citando nelle loro note “la costituzione antidemocratica” e le “politiche non ortodosse”. Sono state studiate sanzioni, come per l’Iran. I giudici dei mercati hanno provocato il crollo della moneta nazionale, che ha reso urgente la necessità di prestiti costringendo Tamàs Fellegi, il negoziatore ungherese al Fondo Monetario, a partire per Washington dichiarando a destra e a manca che l’Ungheria è “aperta a trattare sulla legge della Banca Centrale”. Altrimenti si sarebbe passati ai bombardamenti preventivi?
Il paragone, si badi bene, non è fuori luogo. Un alto esponente del governo americano, sotto condizioni di anonimato, ha rivelato ai giornalisti della AFP la vera ragione delle smanie interventiste nei confronti del paese di Ahmadinejad: “Abbiamo assoluto bisogno di chiudere la Banca Centrale dell’Iran”. Ma come? E noi che eravamo convinti si trattasse di difendere la democrazia, di costringere il regime a rinunciare all’atomica, di debellare il terrorismo.
Siamo adesso obbligati a pensare che anche in occasione dell’occupazione irachena le considerazioni umanitarie abbiano ceduto il posto a quelle economiche, visto che il temibile Saddam – solo 6 mesi prima dell’attacco – aveva iniziato ad accettare euro anziché dollari per il petrolio?
Di più: ora siamo costretti a interrogarci se il vero motivo dell’intervento in Libia non sia per caso consistito nello stroncare il tentativo di Gheddafi di dare vita ad una lega araba che utilizzasse una moneta comune a copertura aurea. E già la Banca Centrale del Paese era posseduta al 100% dallo Stato, costringendo i cartelli bancari globali a fare i conti con essa per fare affari con la Libia. Ricorderete come, ancor prima che la lotta per la libertà e la democrazia avesse inizio (metà marzo 2011), i ribelli di Bengasi dichiararono la loro intenzione di creare una nuova Banca Centrale al posto di quella del colonnello libico. Senza alcuna ironia, John Carey, commentatore principe della CNN, diceva in diretta: “È la prima volta che un gruppo rivoluzionario crea una Banca Centrale mentre è ancora impegnato nei combattimenti contro il regime politico insediato. Ciò indica come i banchieri centrali siano divenuti estremamente potenti ai giorni nostri”.
Sicuramente per coincidenza, il francese Sarkozy definiva in quegli stessi giorni la Libia un pericolo per la finanza internazionale.
L’Iran oggi è uno dei pochi Stati rimasti a disporre di una Banca Centrale di Stato, anzichè privata. Ed è chiaro come valute coperte dall’oro o dal petrolio nazionale, fuori dalla portata dei regolatori globalisti, costituiscano una minacca al Pensiero Unico e Politicamente Corretto dei banchieri, che basano il proprio immenso potere sulla creazione di moneta dal nulla.
Concludo con un pensiero di speranza, una citazione di colui che ha il merito di gran parte delle informazioni riportate in questo articolo: “Un’altra economia è possibile. Un’economia del popolo e per il popolo. Il problema non è tecnico: è politico. Non occorre null’altro che riprendere la libertà che fu degli europei, e strappare la sovranità che fu degli Stati. Da qui, se volete, comincia la lotta di liberazione”.
Antonio Schiavone