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La moneta deperibile di Unterguggenberger
ECONOMIA – L’esperimento di Wörgl
Correva l’anno 1932, infuriava la Grande Depressione, la deflazione costringeva le imprese a chiudere i battenti. I disoccupati erano numerosi, il denaro scarso. Sparito dalla circolazione.
A Wörgl, cittadina del Tirolo che contava 4.000 abitanti – donne e bambini in età non lavorativa compresi – erano in più di 1.500 a non avere un impiego e a non sapere a che santo votarsi per sbarcare il lunario.
E la soluzione per ovviare al problema fu semplice e geniale al tempo stesso.
Il Comune emise una sua propria moneta. Una moneta, e sta qui la novità rivoluzionaria, deperibile, a tempo. La quale, dopo 30 giorni dalla data di emissione, scadeva, diventava carta straccia. Poteva però essere tenuta in corso da chi la deteneva mediante l’apposizione mensile di un bollo – acquistabile in municipio – che costava l’1% del suo valore facciale. Così, per mantenere valida una “banconota” da 10 scellini, ad esempio, si pagavano 10 groschen (l’equivalente dell’odierno centesimo) ogni quattro settimane.
Uomo accorto, il sindaco chiamò i tagli della nuova emissione “Bestätigter Arbeitswerte” (“Certificati di Lavoro”), senza alcun riferimento alla parola moneta o denaro – per i motivi che vedremo in seguito.
Ad ogni modo, furono emessi certificati dal valore nominale di 1, 5 e 10 scellini per un ammontare totale di 32.000 scellini dell’epoca, una cifra esagerata per un piccolo paese come era Wörgl, ma il borgomastro fu lesto a rendersi conto dell’errore e riuscì a scongiurare l’inflazione che avrebbe potuto seguire l’eccesso di emissione, ritirando parte delle banconote; gradatamente, solo un terzo delle monete deperibili rimase in circolazione.
L’emissione non era “allo scoperto”: nella locale banca di risparmio fu depositata dal Comune una somma uguale di veri scellini. In qualsiasi momento il detentore dei certificati avrebbe potuto presentarli all’incasso. Ma fu stabilito che, per questa operazione, la banca avrebbe riscosso un “aggio di servizio” del 2%, pari dunque al doppio del costo di detenzione della moneta deperibile. Di fatto nessuno si recò in banca ad effettuare il “cambio”.
Tutti gli impiegati del Comune – sindaco compreso – iniziarono dal luglio 1932 a ricevere metà dello stipendio nel nuovo conio. Comune che, da parte sua, avrebbe accettato i certificati per il pagamento delle imposte. Gli operai che lavoravano per il locale “Comitato di soccorso disoccupati” (impiegati in piccole opere pubbliche) ricevevano invece integralmente il loro salario nel denaro comunale.
A tutta prima, i bottegai locali si rifiutarono di accettare quello strano surrogato di moneta, che per di più perdeva ogni anno il 12% del valore. Ma il sindaco abilmente ruppe il fronte dei commercianti, convincendone alcuni ad accettare la nuova moneta, promettendo agevolazioni a chi lo faceva. Con il risultato che alla fine anche i più riluttanti saltarono sul treno: del resto, da perdere non era rimasto niente, quello era praticamente il solo denaro in circolazione. E ben presto tutti lo accettarono senza esitare, per il solo fatto che chiunque altro lo accettava (con le due sole eccezioni dell’ufficio postale e della stazione ferroviaria, istituzioni dello Stato).
Non si era obbligati a spendere, chi non voleva farlo poteva mantenere il valore dei suoi certificati depositandoli in banca, allo 0% di interesse, risparmiando la tassa di magazzinaggio, il cui pagamento spettava al detentore – quindi alla banca – che non vedeva l’ora di sbarazzarsene per non dover pagare il bollo. E se ne sbarazzava o prestando a chi voleva investire o pagando salari e servizi.
In principio alcuni ridevano, altri gridavano alla frode o sospettavano contraffazione. Ma i prezzi non aumentavano, la prosperità cresceva e le tasse venivano pagate prontamente e immediatamente reinvestite in lavori e servizi pubblici. I ghigni si trasformarono ben presto in espressioni di stupore e i lazzi in voglia di imitazione.
La diagnosi del borgomastro si rivelò esatta: l’accresciuta velocità di circolazione del denaro rimise in moto l’economia. Scambiandosi circa 500 volte in 14 mesi, contro le 6-8 volte della moneta ufficiale, gli scellini speciali mossero beni e servizi per oltre due milioni e mezzo.
La gente si affrettava a spendere quei soldi a scadenza, e riprese a comprare; ci fu addirittura chi pagò in anticipo le tasse, per non dovere comprare i bolli dell’1% necessari a tenere in valore la moneta.
Era dal 1926 che il municipio non vedeva tanti introiti. Le tasse arretrate e non pagate fino all’introduzione della moneta di ghiaccio (che si squagliava se non si applicava il bollo) ammontavano a 118 mila scellini; nel primo mese della nuova emissione, già 4.542 scellini fecero ritorno nelle casse del Comune, che subito iniziò a far fronte ai suoi creditori, riuscendo ben presto a dare il via ad un piano di opere pubbliche impiegando parte dei 1.500 disoccupati della cittadina. Furono asfaltate strade per un totale di 6 chilometri, costruito un ponte sul fiume Inn, rinnovate le fognature e le installazioni elettriche, piantati nuovi alberi nelle foreste, addirittura si iniziarono i lavori per la costruzione di un trampolino da sci per i turisti. Le opere pubbliche attivate dalla moneta deperibile ammontarono al triplo dell’emissione, 100 mila scellini. Persino la banca del paese (filiale locale della Reifeisen Bank) ne ebbe vantaggio. Qui, per tutto l’anno precedente l’introduzione della banconota deperibile, i prelievi avevano superato i depositi. Ma già nell’agosto 1932, dopo un solo mese di vita della nuova banconota, i depositi tornarono a crescere, superando i prelievi di 6.591 scellini.
Il microscopico esperimento di “moneta del popolo”, insomma, funzionò. Funzionò fin troppo bene, al punto da suscitare l’attenzione della pubblica opinione. I giornalisti accorsero in massa a visitare quella piccola cittadina tirolese che – unica oasi nel deserto della depressione – sembrava prosperare. Wörgl divenne centro di pellegrinaggio di macroeconomisti europei ed americani. Tutti volevano vedere il prodigio della prosperità locale che sfidava la miseria e la disoccupazione globali.
L’idea prese a diffondersi: la vicina Kitzbühel prima iniziò ad accettare in pagamento quelli di Wörgl, poi emise 3.000 scellini di suoi certificati per imitare il miracolo economico di Unterguggenberger. Agli inizi del 1933 l’esperimento era lì lì per coinvolgere circa 300.000 cittadini della provincia.
Il sindaco, raggiante, raccontò ai giornali che il 12% annuo estratto dalla bollatura delle banconote era stato reinvestito e speso per il bene dei suoi concittadini. Aggiunse che, dato il ritmo vertiginoso della circolazione, ogni mese il Comune vedeva ritornare nelle sue casse “venti volte” l’ammontare dei primi stipendi pagati con le banconote deperibili, ossia il 2000%. Mai rivelazione fu più incauta. Forse senza saperlo, Unterguggenberger stava rivelando due segreti vietati, ancora oggi relegati nell’oblio: l’enorme profitto che il sistema bancario estrae dalla circolazione, e quello immenso e occulto che l’emissione monetaria regala a chi batte moneta.
Fino a quel momento, il governo austriaco non aveva mostrato ostilità verso l’esperimento di Wörgl. Ne era a conoscenza fin dall’agosto 1932, quando il dott. Rintelen – alto funzionario – aveva eseguito un’ispezione presso il Comune, trovandolo gestito “certo insolitamente” ma potendo affermare che “il suo bilancio risulta regolare”. Non c’erano ragioni valide per opporsi all’esperimento.
Unterguggenberger si era astenuto dal chiamare i suoi certificati “moneta” dato che sapeva che a farlo sarebbe incorso nelle ire della Banca Nazionale d’Austria – la banca privata che emetteva lo scellino, la moneta nazionale. Ma questa accortenza non bastò: i banchieri pretesero ed ottennero l’abolizione di quel fastidioso concorrente, quell’innocente rivelatore della frode fondamentale.
“Benché l’emissione di certificati di lavoro sembri avallata al 100% da una quantità equivalente di moneta ufficiale austriaca, le autorità sovrintendenti, cominciando dall’area amministrativa di Kufstein fino all’ufficio governativo del Tirolo, non devono permettersi di sentirsi soddisfatte. La cittadina di Wörgl ha ecceduto i suoi poteri, dato che il diritto di batter moneta in Austria è privilegio esclusivo della Banca Nazionale, come per art. 122 del suo statuto. Wörgl ha violato quella legge”.
La proibizione sarebbe entrata in forza il 15 settembre 1933, ma Wörgl fece ricorso alla Corte Suprema, riuscendo soltanto a guadagnare altri due mesi. Il 15 novembre, la Corte – rapidamente, forse troppo – depositò la sua sentenza, rigettando l’appello e decretando la fine della moneta del popolo.
Tornarono la disoccupazione, la miseria e la fame.
Antonio Schiavone
02 novembre 2011
L’eroe di questa storia (nota nei suoi particolari grazie a Fritz Schwartz, testimone oculare che ne scrisse dettagliatamente in un libro pubblicato nel 1951), il borgomastro Unterguggenberger, deve la sua “breve” fortuna all’aver letto e – soprattutto – all’aver avuto il coraggio di applicare la teoria economica sviluppata dall’economista Silvius Gesell (1862-1930) ed esposta nel suo “Die Natürliche Wirtschaftsordnung” (“Ordine economico a misura d’uomo”).
A quanti volessero approfondire l’argomento della grande truffa dei creatori del denaro, consiglio il politicamente scorretto “Schiavi delle banche”, dello scomodo giornalista Maurizio Blondet.