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La disfatta evoluzionista: l’involuzione della specie
Pubblico, su autorizzazione dell’editore EffeDiEffe, cui va il mio ringraziamento, il primo capitolo de La disfatta evoluzionista, di Maurizio Blondet. Ho scelto questo libro, tra i tanti che affollano la mia bibilioteca sull’argomento (tra cui Intelligent Design di William Dembski, Le balle di Darwin di Jonathan Wells, La scatola nera dell’evoluzionismo di Michael Behe), innanzitutto per due motivi: il primo è la stima verso il suo autore, giornalista nel senso più vero del termine e intellettuale autentico; il secondo è la denuncia della superficialità dilagante sul tema e della chiusura aprioristica ad ogni discussione, che proprio nel primo capitolo viene tratteggiata con maestria.
di Maurizio Blondet
Varie osservazioni di lettori più o meno ostili mi obbligano a sviluppare il tema dell’evoluzionismo, affrontato peraltro in vari articoli, e della teoria che vi si oppone, intelligent design (non creazionismo). A questo mi spinge un senso di pietà. C’è in giro una incredibile ignoranza, colpa della cosiddetta pubblica istruzione, del fatto che ormai, senza fabbriche e industrie, la gente è lontana dalla tecnica e dal modo di pensare scientifico (un operaio della Breda anni ’50 sapeva più di fisica di un bocconiano) e della superficialità che è il modo di vita della massa umana. Per esempio. Un tizio su Indymedia, fra vari insulti al mio indirizzo, crede di aver trovato la prova che mi smentisce: «… e i microbi? I microbi che acquistano la resistenza agli antibiotici?».
Eh sì, siamo a questo. Sfugge completamente al tizio il fatto che la resistenza agli antibiotici non rende i microbi né diversi né evoluti: sono i soliti microbi. Evoluzione è, per gli evoluzionisti, ben altra cosa: il passaggio da una specie inferiore ad una superiore, dal rettile all’uccello, da quello al mammifero. Dalla coppia di scimpanzé o di australopitechi, nasce un bambino umano. Le modeste variazioni osservate da Darwin (poveretto, non sapeva ancora nulla del DNA) in animali confinati in qualche isola del Pacifico per selezione naturale non sono evoluzione: sono variazioni all’interno della specie fissa. L’esempio spesso citato dai fanatici del darwinismo, quello delle falene che in Inghilterra sono più scure per nascondersi meglio nel paesaggio annerito da fumi industriali (tra l’altro è un falso: si tratta di un esperimento fatto con falene morte incollate agli alberi, per vedere quante ne mangiavano gli uccelli) non è evoluzione. Non si è mai constatato un solo passaggio da una specie all’altra.
Il famoso anello mancante, continuamente scoperto, è stato continuamente smentito: dall’archeopterix al pitecantropo al Longisquama (dinosauro pennuto, scoperto falso) all’uomo di Piltdown (altro falso), tutti sono stati bocciati come anelli mancanti. La paleontologia trova, negli strati fossili, processi del tutto diversi dall’evoluzione. Constata periodiche esplosioni di forme viventi, a cui seguono massicce estinzioni. Tra l’altro (breve parentesi) il passaggio evolutivo a forme di vita superiori, grazie al caso e alla selezione naturale, contrasta con il secondo principio della termodinamica. In base a questo principio, il caso aumenta l’entropia, non la diminuisce. Se prendete un boccale con uno strato di palline bianche e sopra uno strato di palline nere, e agitate bene, in breve le palline si mescoleranno: entropia, il degrado irreversibile di ogni e qualunque ordine. Se sperate di riuscire, a forza di agitare, a rimettere i due strati di palline come erano prima, potete agitare il boccale per millenni: mai più le palline torneranno in ordine. Per farlo, dovete gettare le palline sul tavolo e fare una cernita, facendo due mucchietti, uno bianco e uno nero. Questo si chiama aggiungere informazione al sistema, ed è un intervento esterno e intelligente.
C’è persino un biologo che mi oppone: altro che complessità irriducibile, il sangue delle lamprede (primitive) ha un’emoglobina di una sola catena proteica, mentre ogni altro animale ha emoglobina a quattro catene. Una vera fesseria. Il punto è che la lampreda, come tutti i suoi pari (ciclostomi) non è più primitiva di un pesce fornito di mascelle. È solo che, perfettamente adattata al suo ambiente (nicchia ecologica) non ha bisogno di un sangue più sofisticato; stando ferma aggrappata a uno scoglio, non consuma l’ossigeno di cui ha bisogno un ghepardo, o un tonno.
Poi ci sono animali fantastici, inspiegabili da alcuna teoria. Il limulus, una specie di granchio (ma è parente degli aracnidi), il cui sangue non è rosso ma blu: perché non è basato sul ferro (emoglobina) ma sul rame. Quale scopo funzionale ha questo unico sangue a base di rame? Non si sa. Il limulus, primitivo come nessun altro (viene ritenuto vicino agli estinti trilobiti), ha anche una vista ad intensificazione di luce: di notte, la sua acuità visiva aumenta di 2.000 volte. Che se ne fa? Non si sa. In ogni caso non sembra un carattere primitivo.
Un altro mi accusa di aver usato darwinismo al posto di evoluzionismo. Vero. Il darwinismo era la teoria mitologica iniziale, quella che vedeva la lotta per l’esistenza. L’evoluzionismo sofisticato ha abbandonato il concetto di lotta per l’esistenza. Ora la sopravvivenza del più adatto non significa la sopravvivenza del più aggressivo; è la sopravvivenza di colui «che riesce a passare i suoi geni alla progenie». La vita non fa più la guerra, fa l’amore: l’ideologia si evolve con la cultura corrente. La cosa è ripetitiva. Stephen J. Gould, in quanto marxista, ha abbandonato il mito evoluzionista dei piccoli graduali miglioramenti, per gli «equilibri puntuati»: esplosione improvvisa di nuove specie, senza transizione (Gould era un paleontologo). Insomma, il riformismo liberale alla Darwin (concorrenza, lievi miglioramenti) diventa, per Gould, la rivoluzione leninista, il passaggio immediato ad un nuovo ordine, ovviamente superiore. Purtroppo, i suoi amici evoluzionisti hanno definito Gould «il Gorbaciov del darwinismo»: nei suoi tentativi di salvare il mito scientistico, lo ha distrutto, come Gorbaciov ha distrutto il comunismo sperando di riformarlo. Presa alla lettera, la teoria di Gould direbbe: un bel giorno, da due rane (anfibi) è nato un rettile; un altro giorno, da due rettili è nato un uccello; ancora più avanti, da una coppia di uccelli un mammifero, o un marsupiale. E da due scimmie, un bambino umano. Una catena di miracoli mai constatati, da far impallidire d’invidia ogni creazionista biblico.
Un altro mi oppone: «E il Neanderhal?». Constato desolato che ancora c’è chi crede – a questo punto è la cultura scientifica – che il Neanderthal sia un antenato primitivo dell’Homo Sapiens Sapiens. Invece era un cugino, un collaterale. Non è venuto prima dell’uomo, ha convissuto con l’uomo per millenni. I presunti antenati dell’uomo mostrati nelle enciclopedie dei ragazzi e nei documentari della CNN sono, come sanno bene gli addetti ai lavori, dei collaterali. L’albero genealogico umano non è un albero, ma un cespuglio con tanti rami alla base. Il Neanderthal era un vero uomo, con un tallone di Achille: era specializzato. Aveva un odorato fantastico, che ne faceva un grande cacciatore. L’uomo che è sopravvissuto (il Sapiens) non è specializzato. Il che significa che non è tutt’uno con una precisa nicchia ecologica, che spazia in ogni ambiente.
L’uomo ha uno strano carattere, quello della neotenia: mantiene in modo permanente caratteri infantili, che anche i primati (gorilla e scimpanzé) hanno, ma solo per poche settimane d’infanzia. Fronte bombata, poco pelo, faccia verticale, lineamenti fini, denti deboli. E niente zanne, artigli, corna e coda. Indifeso: ed è per questo che è sopravvissuto. Le creature super-difese, specializzate sono legate al loro ambiente. Le scimmie quadrumani (così si arrampicano sugli alberi) alla foresta tropicale. Portatele al di là dei Tropici, e si ammalano di tubercolosi. Le giraffe, sono specializzatissime. Animali primitivi ed evoluti, lamprede, dinosauri e picchi, non sono mai imperfetti, non hanno organi incipienti e incompleti. Sono tutti perfetti, ossia perfettamente inseriti nella loro nicchia ecologica. Ma basta che la nicchia ecologica cambi (per ragioni climatiche, magari) e gli specializzati si estinguono, i non specializzati vivono.
La maggior specializzazione della scimmia rispetto all’uomo fa dire a Sermonti il paradosso (molto serio) che la scimmia è posteriore all’uomo, è il discendente dell’uomo; non suo padre, ma suo nipote. Se i due hanno un antenato comune, questo ipotetico antenato non doveva ancora essere fornito degli apparati specializzati della scimmia; doveva essere, come l’uomo, un essere infantile, non quadrumane, senza cosa, senza pelo, senza zanne, eretto, non ancora pre-determinato per una precisa nicchia ecologica. Un uomo è la scimmia più primitiva. L’uomo è più vicino all’origine.
Prima di interloquire, molti dei miei interlocutori dovrebbero interrogarsi su se stessi: da dove viene la rabbia, l’odio con cui difendono l’evoluzionismo? La furia personale, il disprezzo, con cui attaccano chi gli propone (non gli impone) un’altra ipotesi? L’odio non è mai un segno di alta evoluzione. L’odio per le idee nuove e mai sentite prima è un sintomo di involuzione gravissima: che denuncia la discesa dal livello umano – l’uomo che sopravvive è aperto alle idee, la sua nicchia ecologica non è la natura, ma la cultura, non il mondo esterno, ma l’interiore, dove progetta, sogna e rinnova – verso quello entomologico. Le formiche non hanno bisogno di idee nuove, perché fanno tutto sempre allo stesso modo da milioni di anni. Se una formica volesse dire una cosa diversa, il formicaio la aggredirebbe come un intruso. Temo infatti che questo sia il destino dell’uomo ultimo: ci stiamo trasformando in un formicaio, vogliamo diventare api e formiche.
L’involuzione della specie.
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