Il lungo bluff del darwinismo

Pubblicato da il 9 agosto 2012
scimmia darwinista
SCIENZA (?) – In 150 anni di affannose ricerche neppure l’ombra di una prova

Era il 24 novembre 1859 quando fu pubblicato per la prima volta il testo sacro della dottrina evoluzionista, L’origine delle specie, opera del naturalista inglese Charles Darwin. Fu un enorme successo editoriale e scientifico, tanto che ancora oggi il lavoro dello studioso britannico è indicato a fondamento della moderna biologia.

I motivi di tanto sostegno da parte della comunità scientifica vanno però ricercati non tanto nelle prove inconfutabili a conferma della teoria (in realtà non ve n’è neppure una), quanto piuttosto nel materialismo filosofico che ne costituisce il fondamento e che allo stesso tempo ne scaturisce.

Infatti, da un punto di vista esclusivamente scientifico – dopo 150 anni di ricerche affannose, di interpretazioni a senso unico, di libri su libri scritti in elogio al divino maestro, di studi condotti con il solo scopo di dimostrarne la correttezza – l’evoluzionismo si può ritenere, senza tema di smentita, un completo fallimento.

Ma andiamo con ordine. Innanzitutto, cosa si intende per “moderna teoria dell’evoluzione”, quali sono le ipotesi che propaganda per verità inoppugnabili? Senza essere troppo tecnici, possiamo sintetizzarle in due punti:

  • tutte le specie di esseri viventi oggi esistenti discendono da un antenato comune;
  • il principale meccanismo di modificazione delle specie è la selezione naturale, che opera su variazioni non pianificate (originate nelle mutazioni del DNA).

In sostanza, il darwinismo afferma che da una specie (supposta inferiore, qualsiasi cosa questo voglia dire) si passi ad un’altra superiore, attraverso casuali mutazioni che avvengono a livello genetico, filtrate poi dalla selezione naturale che conserverebbe quelle favorevoli alla vita e sopprimerebbe quelle nocive.

Teoria affascinante, non c’è che dire. Il problema è che non c’è alcuna prova che la confermi. Partiamo dai ritrovamenti fossili, ad esempio, sovente citati. Tralasciamo i problemi che comportano le datazioni (procedimenti tutt’altro che semplici ed infallibili: non è infrequente il caso di misurazioni successive completamente difformi), sorvoliamo anche su errori commessi in buona fede o meno (come la vicenda dell’uomo di Giava, o anche del più celebre uomo di Neanderthal) e taciamo pure di alcune vere e proprie truffe (l’uomo di Piltdown e l’uccello di Liaoning, per esempio).

Con tutta la buona volontà, “l’idea di poter andare a guardare i reperti fossili e sperare di rinvenire empiricamente una sequenza antenato-discendente, sia essa di specie, di generi, di famiglie o altro, è stata, e continua ad essere, una perniciosa illusione” – come affermato da Gareth Nelson, esperto del Museo di Storia Naturale di New York.

Si consideri, inoltre, che il fenomeno più evidente rappresentato dai ritrovamenti fossili è la comparsa dei principali phyla animali in prossimità dell’inizio del periodo Cambriano (fenomeno conosciuto anche come “esplosione cambriana” o “Big Bang biologico”), il che contrasta decisamente con la teoria darwiniana della comparsa graduale di organismi via via più complessi.

Prendere una serie di fossili e pretendere che rappresenti una linea di discendenza è un’ipotesi che ha la stessa validità delle favole della buona notte: divertente, forse istruttiva, ma non scientificaHenry Gee, biologo evoluzionista
La questione fondamentale, del resto, è che in via di principio è impossibile dimostrare che due fossili sono genealogicamente collegati (nel 1999 il biologo evoluzionista Henry Gee affermò che “prendere una linea di fossili e pretendere che rappresenti una linea di discendenza non è un’ipotesi scientifica che può essere testata, ma un’asserzione che ha la stessa validità delle favole della buona notte: divertente, forse istruttiva, ma non scientifica”).

Darwin stesso era cosciente che le testimonianze fossili non erano sufficienti a fondare la sua teoria; era convinto che la migliore conferma della sua tesi venisse dagli embrioni. Secondo l’inglese, il fatto che nelle prime fasi “gli embrioni delle specie più diverse appartenenti alla stessa classe sono strettamente simili” indica chiaramente un’ascendenza comune: il problema è che in realtà questa somiglianza non esiste, se non nei disegni (nell’immagine) realizzati dal darwinista tedesco Ernst Haeckel negli anni ’60 dell’800.

Nel 1997 l'embriologo inglese Richardson pubblicò le foto degli embrioni reali, confrontandole con i disegni di Haeckel. Intervistato dalla rivista “Science”, definì il caso “uno dei falsi più famosi della biologia”

Nel 1997 l’embriologo inglese Richardson pubblicò le foto degli embrioni reali, confrontandole con i disegni di Haeckel. Intervistato dalla rivista “Science”, definì il caso “uno dei falsi più famosi della biologia”

Haeckel però falsificò i suoi disegni. Gli embrioni della fila in alto non sono affatto simili tra loro come li aveva fatti lui. Inoltre, fu molto selettivo nella scelta dei ‘soggetti’, omettendo i due ordini di mammiferi comprendenti gli ornitorinchi e i canguri, le due classi di vertebrati cui appartengono le lamprede e gli squali, e gli ordini di anfibi di cui fanno parte le rane: tutti, guarda caso, dall’aspetto molto differente dai gruppi ritratti.

A partire dalla metà del XX secolo gli sforzi dei darwinisti si sono rivolti allora alla biologia molecolare. Senza entrare nei dettagli, basti dire che, ben lungi dal risolvere la questione, gli studi filogenetici (termine coniato per indicare la storia evolutiva di un gruppo di organismi desunta dal confronto tra le molecole di DNA, RNA e proteine) hanno arrecato solo grattacapi ai moderni evoluzionisti. Le filogenie molecolari dei principali phyla animali sono solo un gran pasticcio: in molti casi contraddicono le evidenze morfologiche e spesso si contraddicono l’una con l’altra.

In ultima analisi, la teoria evoluzionista è basata sul nulla. A dispetto del titolo del suo libro, Darwin non risolse il problema dell’origine delle specie, e non lo hanno fatto i suoi seguaci: la condizione sine qua non del darwinismo, ossia la speciazione, non è mai stata osservata. Non esiste alcuno studio o esperimento scientifico nel quale “una specie sia stata vista evolvere in un’altra” – l’affermazione è del batteriologo Alan H. Linton dell’università di Bristol.

Basti pensare che tutti gli studi sui batteri, la forma di vita indipendente più semplice (ideale per questo tipo di indagini in quanto le generazioni si succedono ogni 20-30 minuti), hanno fatto fiasco: “in 150 anni di scienza della batteriologia” – continua lo studioso inglese – “non esiste prova che una specie di batteri sia cambiata in un’altra”.

Davvero uno strano concetto di scienza quello dei darwinisti, che sostengono che tutte le specie esistenti discendano da progenitori comuni mediante modificazioni e selezioni, ma che non sono in grado di indicare un solo esempio osservato in cui una singola specie si sia originata in questo modo. Mai nel campo delle scienze così tanto si è fondato su così poco.

Antonio Schiavone

Centro Servizi Acerra