Storia

La tempesta di fuoco che arse Dresda

Apocalisse a Dresda

L’insieme di tutte le città tedesche non valgono le ossa di un solo granatiere britannicosir Arthur Harris

Erano le 22:08 quando in città si diffuse cupo il suono delle sirene dell’allarme antiaereo. La prima reazione da parte della popolazione fu di scettica incredulità, e molti pensarono sulle prime ad un eccesso di prudenza dovuto al troppo zelo dei funzionari del partito nazista incaricati della protezione di Dresda.

Non fecero in tempo a ricredersi, che in appena due minuti il cielo si tinse del colore della morte: i primi quadrimotori “Lancaster” dell’83° squadriglia inglese affollavano i cieli della Firenze tedesca, per aprire la strada agli agili cacciabombardieri “Mosquitos” con il compito di segnalare gli obiettivi dell’attacco tramite bombe segnaletiche rosse.

Adesso i bombardieri potevano iniziare a colpire: in poco meno di 20 minuti la notte fu rischiarata a giorno dalle fiamme, innumerevoli ordigni da 1.800 e 3.600 libbre furono sganciati nei popolosi quartieri della città vecchia. Nel vuoto creato dalle prime detonazioni, i circa 300 “Lancaster” lanciarono decine di migliaia di bombe incendiarie e dopo ancora bombe esplosive in maniera tale che le seconde potessero alimentare – tramite le onde d’urto da esse create – i tanti focolai di incendio appiccati dalle prime. Lo scopo prefissato di ottenere il massimo della potenza distruttrice fu ottenuto: gli incendi arroventavano l’aria che, alleggerendosi, ascendeva verso l’alto originando forti venti che risucchiavano nella fornace tutto ciò che si trovava nelle vicinanze.

Si originarono tempeste di fuoco che raggiunsero i 1.000 gradi centigradi, interi quartieri bruciarono come sterpaglia secca, addirittura l’asfalto delle strade si tramutò in un unico mare di fiamme.

Terminato il primo, feroce ed orribile attacco, i quadrimotori britannici si allontanarono in direzione di Strasburgo. I sopravvissuti lentamente presero ad abbandonare i rifugi roventi e zeppi di fumo, mentre dalle città vicine iniziavano ad affluire gli aiuti.

E puntuale arrivò il secondo attacco, con l’obiettivo infame di colpire i superstiti e i soccorritori.

A tre ore dall’inizio dell’apocalisse, altri 529 bombardieri giunsero a sui cieli sopra Dresda a continuare l’opera di distruzione. “Lanciavamo le bombe da 8.000 metri di altezza e riuscivamo a malapena a scorgere il suolo a causa delle alte colonne di fumo nero” – raccontò a guerra finita un pilota americano, che descrisse quello che riuscì a scorgere dalla sua postazione: “c’era un mare di fuoco che copriva almeno un centinaio di chilometri quadrati. Il calore era tale che si sentiva fino nella carlinga; ero soggiogato di fronte a quel terrificante incendio, pensando all’orrore che c’era là sotto”. Il secondo bombardamento durò circa 10 minuti, durante i quali furono sganciati, nei pressi delle zone già colpite, circa 650.000 ordigni incendiari.

Dresda arse per ore che parevano interminabili.
Fu solo all’alba del 14 febbraio che la tempesta di fuoco andò finalmente acquietandosi (durante la notte il bagliore della colonna di fuoco fu osservato a più di 300 km di distanza), dando origine ad una colonna di fumo denso alta oltre 5.000 metri, che sovrastava la città.
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Antonio Schiavone

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