Storia

La tempesta di fuoco che arse Dresda

Operazione Gomorra

Dopo qualche minuto dall’allarme, circa 800 bombardieri britannici “Lancaster” (pesanti quadrimotori ad ala media della Royal Air Force) seppellirono Dresda e i suoi abitanti sotto 3.000 tonnellate di bombe, dando il via al folle progetto di provocare consapevolmente le condizioni affinché potesse innescarsi la cosiddetta “Tempesta di fuoco”, che la città di Amburgo aveva già sperimentato poco più di un anno e mezzo prima a seguito dell’operazione militare che Sir Arthur Arris, capo del Bomber Command, aveva battezzato – a giusta ragione – “Gomorra”.

Non è chiaro se ad Amburgo si trattò di casualità o invece di un piano scientemente deliberato, fatto sta che gli effetti furono devastanti: il gran numero di ordigni sganciati (in quattro successive incursioni effettuate tra la notte del 24 e quella del 27 luglio 1943, 2.350 bombardieri inglesi e americani scaricarono complessivamente sulla città più di 9.000 tonnellate di bombe, di cui circa la metà incendiarie) provocò l’innesco di un’unica e gigantesca tempesta di fuoco.

Sir Arthur Arris, capo del Bomber Command

Così descrive l’orrore del fenomeno il libero ricercatore storico Paolo Deotto:

La grande quantità di bombe incendiarie sganciate su un’area relativamente limitata e ricca di fabbricati addensati e infiammabili e la mancanza di vento naturale sulla zona, portarono alla formazione di una corrente ascensionale di aria calda di inaudita potenza e temperatura. L’aria surriscaldata, a temperature dai 600 fino a 1.000 gradi, saliva verso il cielo e l’aria fredda circostante si precipitava a colmare il vuoto lasciato a livello del suolo, surriscaldandosi a sua volta. Il fenomeno si esaurì in tre ore, durante le quali si generarono venti diretti verso il centro dell’immane fornace a velocità fino a 300 km/ora. Chi veniva ghermito da questo vento non poteva opporre alcuna resistenza, ed era scaraventato al centro della zona incendiata, a temperature che volatilizzavano tutto. Dove il soffio rovente era solo di 300-400 gradi furono ritrovati poi cadaveri carbonizzati ridotti a circa un metro di lunghezza. Via via che ci si allontanava dall’inferno la temperatura scendeva sui cento gradi e il vento non era più in grado di trascinare. Ma il calore eccessivo bruciava le vie respiratorie, uccidendo per soffocamento chi non era già morto nei rifugi per la mancanza di ossigeno causata dagli incendi”.

E ancora peggiore, se possibile, fu la sorte che toccò a coloro che vennero colpiti direttamente dagli schizzi del fosforo delle bombe incendiarie. I sopravvissuti raccontano storie agghiaccianti: persone che bruciavano come torce umane, c’era chi correva all’impazzata sbattendo la testa avanti e indietro mentre altri si agitavano gambe all’aria contorcendosi come serpi; ogni rimedio era vano persino ad alleviare il dolore, tanto che alcune pattuglie di soldati e poliziotti, nell’impotenza di intervenire in qualsiasi maniera, decisero di sparare a questi sfortunati per limitarne le atroci sofferenze.

Avessero o meno l’intenzione di provocare tale apocalisse, le forze armate americane ed inglesi – una volta compresa la dinamica degli eventi – non si posero eccessivi scrupoli morali. Il già citato Sir Arthur Arris (soprannominato “il Macellaio” dai suoi stessi colleghi della RAF) era uno strenuo sostenitore delle strategie di ‘bombardamento strategico’ (se le parole hanno un senso, bisognerebbe parlare piuttosto di ‘bombardamento terroristico’, visto che prende di mira non obiettivi militari o industriali, ma inermi civili) e col consenso informato del primo ministro inglese Winston Churchill ebbe modo più volte di tradurre in pratica le sue convinzioni.

Quale che sia la verità riguardo i fatti di Amburgo, quanto avvenne a Dresda di certo non fu un caso: si studiò accuratamente il modo di replicare in grande quanto avvenuto con “Gomorra”.

La tecnica lucidamente elaborata dagli inglesi mise a punto un particolare tipo di bombardamento che – mediante l’uso di determinati spezzoni incendiari da 4 libbre, sganci a grappolo degli ordigni, studi sull’impianto topografico dei centri storici facilmente infiammabili, considerazione delle condizioni meteorologiche – produsse un vero e proprio inferno.
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Antonio Schiavone

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