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La guerra in Siria. Tra mistificazioni e realtà
SIRIA – Dai giornalisti da salotto alle fake news dei governi, dalla propaganda occidentale all’eroismo dei siriani, dal terrorismo sunnita finanziato da americani e sauditi all’eroismo di Hezbollah
Segnatevi questo nome: Sebastiano Caputo.
Un ragazzo del ’92 che, senza grossi mezzi economici né amicizie importanti o coperture politiche che contano, racconta il conflitto siriano denunciando e smascherando le falsità della narrativa occidentale. Onore a lui e a tutti coloro che si battono ancora per la verità.
Quello che segue è il video di un incontro organizzato a Roma, nel quale il giovane reporter tratta temi e argomenti che, chissà perché, non trovano mai spazio in una televisione che sulla Siria preferisce le filippiche radical chic di un tizio da Manhattan – a ottomila e rotti km da Aleppo – ai reportage di chi invece si è recato sul posto, tra case distrutte e con ancora i segni delle bombe sul terreno.
Guardatelo, e rendetevi conto voi stessi dello stato pietoso in cui versa l’informazione di regime.
Il professor Enzo Pennetta, docente di Scienze Naturali, saggista e blogger, nell’incontro “La guerra in Siria. Tra mistificazioni e realtà”, organizzato dalla Fondazione Cristo Re, intervista Sebastiano Caputo, giornalista e scrittore, che conduce tutti in viaggio verso una Siria diversa da quella che i media mainstream raccontano.
Il video dura quasi un’ora ed è profondamente istruttivo.
Reporter di guerra e giornalisti da salotto
Si sa, in guerra la prima vittima è spesso la verità. E dopo il Vietnam, a proposito del quale il generale William Westmoreland ebbe a dire che “la colpa della sconfitta americana fu della stampa”, va detto che la lezione è stata imparata fin troppo bene.
«La Prima guerra del Golfo è seguita da un’invenzione che si chiama: CNN. La CNN ha coperto totalmente la Guerra del Golfo raccontando la verità che andava raccontata, cioè non bisognava correre il rischio di fare un secondo Vietnam.
Ricordiamo anche dei fake della CNN in cui c’è – su YouTube circola ancora – la troupe che fingeva di stare all’aperto a Baghdad e invece poi si scoprì che stavano dentro una stanzetta al chiuso con lo sfondo finto».
«Veniamo alla Seconda guerra del Golfo dove – diciamo – nasce ufficialmente il giornalismo embedded, cioè il giornalista può andare al fronte, ma solo se inquadrato insieme all’esercito ufficiale. Quindi va, vede, filma – in definitiva – solamente quello che gli viene consentito di vedere e filmare».
Da allora, grazie anche all’evoluzione tecnologica e ai progressi nei trasporti, è stato tutto un crescendo. Tanto che «oggi, spesso, la maggior parte dei reporter di guerra va praticamente a fare una gita turistica», il tempo di montare il set, queste voci libere si trattengono «giusto due-tre ore, si mettono un giubbotto antiproiettile, chiedono al militare della scorta di sparare in aria per mettere un po’ di suspence e un po’ di spirito avventuriero dentro il reportage» e poi «se ne tornano a casa». Questo oggi è il giornalismo di guerra.
Come se non fosse già abbastanza desolante, «ultimamente abbiamo anche scoperto il giornalismo fatto direttamente dall’attico di Manhattan. Mi riferisco a un episodio abbastanza recente – siamo a fine marzo scorso – durante una trasmissione da Fazio, Roberto Saviano fa un lungo intervento sulla Siria», tutto orientato a mettere sotto accusa il legittimo governo siriano, a denunciare quant’è brutto e cattivo Assad che bombarda i bambini, una scena «totalmente bugiarda e ipocrita».
Tanto che Caputo si è sentito in dovere di ribattere a Saviano e realizzare un video di risposta a quel penoso spettacolo il cui unico fine era strumentalizzare «la sofferenza dei bambini per rendere funzionale le loro lacrime e la loro sofferenza a un’agenda politica».
Fake news istituzionali
È famosa ormai la scena di Colin Powell, l’allora Segretario di Stato americano, mentre al Consiglio di Sicurezza dell’ONU agita la fantomatica boccetta di antrace che dimostrava irrefutabilmente il possesso di armi di distruzione di massa da parte dell’Iraq di Saddam Hussein (nascoste bene, visto che le stiamo ancora cercando dopo una quindicina di anni e dopo aver raso al suolo un intero paese).Meno conosciuta, forse, un’altra vicenda raccontata alla conferenza, risalente invece alla prima Guerra del Golfo (siamo agli inizi degli anni ’90).
L’opinione pubblica mostrava qualche resistenza al conflitto e, quindi, per giustificare moralmente l’intervento fa la sua comparsa «sugli schermi una ragazza di 15 anni, una certa Nayirah, che racconta che i soldati di Saddam Hussein, a al-Kuwait City, negli ospedali prendevano i bambini e li buttavano fuori dalle incubatrici lasciandoli morire per terra al freddo». Che orrore! Il civile occidente non poteva restare a guardare con le mani in mano, come ci spiegavano i tuttologi su ogni canale. Solo qualche anno dopo si scoprirà che «questa ragazza era la figlia dell’ambasciatore a Washington del Kuwait e stava recitando imbeccata dalla “Hill+Knowlton Strategies”, un’agenzia pubblicitaria che aveva costruito questo fake proprio per spingere i riluttanti alla guerra».
I White Helmets e l’Osservatorio Siriano
Una menzione speciale nell’affaire siriano la meritano poi i “White Helmets”, gli elmetti bianchi, nell’immaginario collettivo quasi degli «angeli, che vanno a soccorrere dove ci sono i bombardamenti». Salvo poi scoprire che sono stati «fondati da James Le Mesurier, un ex ufficiale dell’esercito inglese» e che «ricevono 23 milioni di dollari dall’USAID, che è un’agenzia statunitense».
«Quindi molto poco spontanei e molto poco indipendenti».
Per approfondire, trovate vari articoli in rete e in particolare sul sito Gli occhi della Guerra.
Qui ricordiamo solo qualche collegamento: l’immagine degli elmetti bianchi è strettamente legata ad una società inglese di nome “Purpose”, il cui motto è “We create brands”. Tim Dixon, responsabile europeo di “Purpose”, è infatti il cofondatore di “The Syria campaign“, volano mediatico degli elmetti bianchi. Tra i fondatori di “The Syria campaign” ci sono la Fondazione Rockefeller e la Fondazione Asfari. Esiste anche un altro sito, legato a doppio filo a “Purpose”, che si occupa degli elmetti bianchi: “Avaaz”. Uno dei suoi cofondatori è infatti Jeremy Heimans, cofondatore anche di “Purpose”. Secondo il Guardian, Avaaz è il network di attivisti più influente al mondo. Tra i suoi fondatori c’è anche Eli Parisier, “Advisory Board Member” di Open Society, fondazione di George Soros. Ma non solo: con “Avaaz” ha collaborato anche Pedro Abramovay, direttore generale per l’America Latina di Open Society. In passato, Avaaz è stata considerata un’emanazione diretta di Soros. Falso o vero che sia, quel che è certo è che ci sono forti legami tra le due iniziative.
Il nostro giovane reporter ha qualcosa di interessante da aggiungere sull’argomento: «la prima cosa che ho fatto quando sono andato ad Aleppo appena riconquistata dall’esercito arabo-siriano» è stata di cercare il loro quartier generale, «ho chiesto alla persona che mi portava in giro ad Aleppo» e sono arrivato «in questo casermone che prima era un ospedale» con un enorme logo dei “White Helmets” sulla facciata dell’edificio. «Entro dentro e c’erano anche le divise buttate per terra e tutto quanto. Allora esco e 50 metri a lato c’era il quartiere generale di Jabhat al-Nuṣra. A 50 metri dall’edificio del quartier generale dei “White Helmets”».
Prima dei “White Helmets”, però, che arrivano sulla scena qualche anno dopo (2015-2016), sul fronte della propaganda hanno agito altre organizzazioni. Tra cui, per esempio, il celeberrimo Osservatorio siriano per i diritti umani, «un’agenzia gestita da un solo uomo che ha sempre vissuto a Coventry, a pochi chilometri da Londra». Pur non recandosi in Siria da 15 anni, e anzi forse proprio per questo, «l’Osservatorio è stata l’agenzia (nonché portavoce dei ribelli) rilanciata da tutti quanti i grandi mezzi di informazione (dalla BBC alla CNN, passando per The New York Times, The Washington Post e via discorrendo)».
L’eroica resistenza del popolo siriano, il sostegno popolare ad Assad, il ruolo di Hezbollah e la Mezzaluna sciita
Tante altre le tematiche affrontate nella conferenza.
Vengono raccontate alcune storie nate dall’eroismo con il quale il popolo siriano ha affrontato questa guerra in cui è stato gettato, stringendosi attorno al suo presidente e lottando con onore contro gli invasori stranieri dei quali, non dimentichiamolo, noi italiani siamo alleati. Noi italiani, come membri dell’Unione Europea e della Nato, siamo complici, schierati dalla parte di chi continua a portare caos e distruzione nel mondo contro coloro che si battono per la propria casa, la propria patria, la propria famiglia.
Chiamando terroristi quelli che non si piegano.
Come i membri di Hezbollah, organizzazione definita terroristica dalla UE, che in Siria «hanno liberato, per esempio, la città di Maalula», città cristiana dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Cristo. Dopo la lotta per la liberazione, i soldati di Hezbollah hanno donato e rimesso al suo posto «una statua della Vergine Maria, che prima dell’arrivo dei jihadisti era in cima alla montagna, a più di 1500 metri, affacciata sul villaggio, restituendo il simbolo della cristianità agli abitanti di Maalula».
E lo stesso discorso vale anche per altre città cristiane, che l’occidente ha abbandonato e che Hezbollah, generosamente, difende.
Onore a Hezbollah, e a quanti si battono contro l’impero del caos e della menzogna.
Antonio Schiavone