Legge contro l’omofobia: «Ricchioni e intoccabili»

Pubblicato da il 29 luglio 2013

Innanzitutto, tranquillizziamo subito i benpensanti. La citazione nel titolo non è di un cattolico bigotto e moralista, ma – per dirla con il titolo della sua autobiografia – di una “vecchia checca”: lo scrittore omosessuale Nino Spirlì.

Nell’articolo pubblicato sul suo blog a proposito della proposta di legge sul contrasto alla cosiddetta omofobia (concetto inventato dallo psicologo americano Weinberg, sul quale ci sarebbe molto da eccepire), primo firmatario il deputato Ivan Scalfarotto del Pd, l’autore calabrese non le manda certo a dire. E risulta difficile squalificare la sua opinione come “retrograda”, “omofoba”, “razzista”, visto che è un omosessuale ad esprimersi così.

Ma come? Non ci hanno raccontato fino alla nausea (e continuano a farlo senza sosta: tv, radio e giornali – con solo qualche rara eccezione – ne parlano insistentemente, a dimostrazione che almeno i media nel nostro Paese di certo non ci pensano neppure a discriminare il gaio mondo) che questa legge è urgente, necessaria per riportare la nostra Italia oscurantista e arretrata alla civiltà?
Uno potrebbe pensare che di questi tempi, nei quali la disoccupazione – soprattutto giovanile – è ormai endemica, il credito si è completamente prosciugato per le aziende – che ogni giorno chiudono a centinaia – e sempre più famiglie annegano nella povertà, forse sarebbero altre le urgenze di cui occuparsi.

Invece il dibattito pubblico è dominato dalle isteriche grida di lesbiche, gay, bisessuali e transgender vari, che – a detta loro – non ne possono più di essere oppressi e discriminati da una società moralista e ipocrita. E non sia mai che vi arrischiate a far notare come sfilare mezzi nudi col filo interdentale tra le chiappe mentre si mimano atti sessuali, senza che le autorità intervengano (una volta si chiamavano “atti osceni in luogo pubblico”), non è che deponga proprio a favore di questa tesi: verreste subito etichettati come nemici del progresso, avversari irriducibili della libertà, teste marce da rieducare, “omofobi”.

L’obiettivo della proposta di legge Scalfarotto è proprio questo: l’eliminazione per via legale di ogni opposizione all’ideologia omosessualista.

Hanno un bel da dire i sostenitori del nuovo reato d’opinione a sostenere che l’intervento legislativo è necessario per difendere gli omosessuali, bersagliati quotidianamente da ogni tipo di vessazione fisica, morale e giuridica. Come se attualmente non godessero degli stessi diritti di tutti gli altri cittadini. Offendere un gay, massacrarlo di botte, insultarlo sul lavoro o in qualsiasi altro ambito sono certamente comportamenti vergognosi ed esecrabili. Il punto è che questi sono già reati, esattamente come offendere, massacrare o insultare qualsiasi altra persona.

A che serve allora una legge contro l’omofobia? Forse che le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale siano numerose e magari in aumento? Forse che nelle nostre città infurino le aggressioni e i pestaggi ai danni di gay e lesbiche? Forse che negli ultimi tempi si siano moltiplicati gli episodi di intolleranza verso i non-eterosessuali?
La risposta a tutte queste domande è la stessa: no.

Nonostante la propaganda dei vari Scalfarotto, Vendola, Boldrini, Idem, Concia, Grillini e compagnia bella, che non perdono occasione per denunciare l’omofobia che regnerebbe sovrana nel Bel Paese, la realtà è ben diversa. L’Italia, come confermato da una recente ricerca effettuata a livello internazionale dal Pew Research Center, non solo figura tra i paesi nel mondo aventi i tassi maggiori di accettazione dell’omosessualità (per la precisione, si colloca all’ottavo posto in graduatoria), ma anche fra quelli nei quali, negli ultimi anni, tale accettazione è maggiormente cresciuta. A confermare questo dato sono anche le scarsissime segnalazioni di casi presunti di omofobia: nel 2012 sono state raccolte meno di 150 segnalazioni (sulle quali, tra l’altro, non abbiamo dati relativi all’effettivo riscontro), un numero sicuramente da ridurre, ma che certo non giustifica i toni allarmistici e le filippiche logorroiche degli autoproclamatisi alfieri dei nuovi diritti civili. Inutile citare anche il recente sondaggio effettuato il 14 e 15 maggio scorsi da Swg, finalizzato a rilevare le categorie sociali più odiate: su un campione di 1500 persone interpellate, neppure una ha tirato in ballo gli omosessuali.

Del resto, perché stupirsi? La diffusione di dati fantasiosi e senza alcun riscontro oggettivo è tattica collaudata ed efficace. Per manipolare l’opinione pubblica e renderla favorevole all’aborto, ad esempio, a fine anni ’60/inizio anni ’70 si spararono a caso cifre improponibili. Nella grande campagna mediatica messa in piedi che condusse alla legge 194, si strepitava contro i 3 milioni di aborti clandestini annui, quando in realtà si arrivava forse a 100mila.
Si sosteneva, senza ombra di vergogna, che c’erano donne “che hanno abortito già dieci, venti volte”, esponendosi così al rischio di interventi pericolosi perché illegali e non controllati. Sul numero di decessi dovuti all’aborto clandestino, poi, si andò molto oltre la soglia del ridicolo: si parlava di 20-25mila vittime ogni anno. Sarebbe bastato consultare il Compendio Statistico Italiano per rendersi conto delle immani cazzate che in certi ambienti (gli stessi, si badi bene, che oggi marciano compatti a sostegno dell’ideologia omosessualista) si propagandavano consapevolmente. Prendiamo il 1974, per dirne una: in Italia, nell’intero anno, morirono 9.914 donne tra i 14 e i 44 anni (cioè in età feconda); fossero decedute anche tutte per aborto clandestino, cosa assolutamente assurda, non sarebbero comunque né 20.000 né 25.000.

Ma tant’è, non starete mica lì a sottilizzare: cosa sarà mai qualche piccola menzogna a fronte di queste straordinarie conquiste di civiltà? Non vorrete mica opporvi all’avanzare di siffatti moderni e meravigliosi diritti? Le nuove frontiere dell’umanità oggi reclamano, dopo che la legalizzazione dell’infanticidio e la normalizzazione dell’inversione sessuale sono ormai acquisite, addirittura la soppressione legale di ogni opinione contraria.

La proposta di legge Scalfarotto assolve precisamente questo compito, prevedendo la reclusione fino a 18 mesi, ad esempio, per chi (come me) decidesse di opporsi all’introduzione del “matrimonio” omosessuale nel nostro ordinamento, oppure – orrore! – osasse sostenere che l’ambiente migliore per la crescita e l’educazione di un bambino è la famiglia naturale, costituita da un padre e una madre (citando magari i numerosi studi scientifici che lo confermano). Le nuove leggi sui nuovi diritti sono pronte a fulminare noi colpevoli di tali attentati alla democrazia. Occorre ricordare le parole del presidente del Senato, Sebastiano Grasso: “Gli omofobi sono cittadini meno uguali degli altri”, il che significa (per dirla con le parole del giornalista Blondet) che “noi non potremo invocare l’uguaglianza di fronte alla legge che viene riconosciuta ai sodomiti; noi, avremo diritti minori”.
Istruttivo ricordare come Grasso sia anche quello che invocò “una corretta educazione su questi temi: la dobbiamo fare soprattutto per chi soffre di questa malattia” – la malattia, ovviamente, sarebbe l’omofobia, o ciò che lor signori ritengono tale. Notata l’ironia? Mentre a breve sarà reato anche solo parlare dell’omosessualità come “disordine morale”, gli “omofobi” vanno invece curati.
Il presidente Grasso minacciò, insomma, di internarci in qualche campo di rieducazione. Minaccia portata a compimento, appunto, dal compagno Ivan: tra le pene accessorie previste dalla legge Scalfarotto figura, infatti, l’obbligo di prestare gratuitamente lavoro presso qualche associazione LGBT.

Ad ogni modo, pare che fino a settembre potremo ancora esprimere le nostre perplessità. Però senza far troppo rumore, altrimenti – nell’attesa che la nostra opinione venga dichiarata reato – potremmo incorrere nei paladini della giustizia morale e trovarci sbattuti in prima pagina sui giornali, esposti al pubblico ludibrio, messi alla gogna.

Così come capitato, tanto per intenderci, ad una signora di Segrate. Alla donna, catechista volontaria, durante la lezione viene chiesto da un ragazzino: “Ho uno zio omosessuale; può fare la Comunione?”. La signora, giustamente, risponde di no, cercando di spiegare che occorre essere in stato di grazia, e il peccato omosessuale abituale, senza pentimento, rende la Comunione sacrilega.
Un piccolo episodio che è stato ritenuto degno di scandalo nientemeno che da La Repubblica, che nelle sue pagine milanesi ha sparato il titolone: “L’omosessualità è una malattia. Bufera sulla catechista di Segrate”. E via con le solite insinuazioni, le condanne morali elevate dal pulpito della nuova religione civile. Addirittura viene interpellato il sindaco, che nulla ha a che vedere con i corsi di catechismo che avvengono in parrocchia. Insomma, il giornale esige l’intervento repressivo della pubblica autorità. Per sedare una bufera che in realtà, prima che il giornalista lo consegnasse agli onori della cronaca, prendendolo a pretesto per dare il via alla solita crociata anticattolica, non era nient’altro che una semplice lezione di catechismo.
Ebbene, la povera catechista, normalissima signora che fa volontariato, si è ritrovata suo malgrado esposta allo scherno, fatta oggetto di un’odiosa campagna di stampa, esposta alla calunnia e alla derisione. Il giornalistucolo che ha montato lo scandalo non l’ha nemmeno interpellata per accertarsi se i tredicenni cui la donna fa lezione magari avessero inteso male.

Ci preme rassicurare la signora: le è andata bene. Non essendo ancora in vigore la legge contro l’omofobia, ha evitato il carcere e la rieducazione forzata.

Almeno per il momento.

Antonio Schiavone

È doveroso da parte mia citare il sociologo Giuliano Guzzo, il professore Francesco Agnoli e il giornalista Maurizio Blondet, dai quali ho appreso molte delle informazioni riportate in questo articolo.

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