Sono passati solo pochi giorni, ma la notizia è già stata dimenticata dai nostri zelanti organi di informazione.
L’assalto israeliano alla Freedom Flottilla è stato inghiottito e metabolizzato completamente dall’occidente libero senza neppure battere ciglio. E questo dà la misura di quanto ipocritamente servili siamo diventati.
Del resto, sono decenni che voltiamo la testa dall’altra parte per non incrociare gli sguardi innocenti e sofferenti di un intero popolo ridotto alla fame ed alla miseria. Stavolta a fare le spese della furia cieca e paranoica delle truppe israeliane sono stati esseri umani e non bestie (non c’è un’altra parola per descrivere il modo in cui vengono trattati gli abitanti di Gaza dai loro occupanti). Ma in fondo, sempre di animali parlanti si tratta. Goym, belve: insomma non-ebrei.
Un altro atto compiuto in spregio di qualsivoglia diritto internazionale. Non è certo il primo, e purtroppo nulla lascia sperare che sarà l’ultimo.
Quando apriremo gli occhi, sarà sempre troppo tardi. Quando ci renderemo finalmente conto dell’ideologia fondante lo Stato di Israele, non basterà chiedere scusa per l’orrore che abbiamo permesso.
I fatti, piaccia o no, sono questi: Israele ha assaltato in acque internazionali, senza averne diritto alcuno, una flotta di navi che si stava recando a Gaza per fornire aiuto alla popolazione locale ridotta alla fame e alla miseria dall’occupazione sionista. Certo, possiamo fingere di credere alle menzogne delle troie di regime, ma la realtà resta. Il “combattimento” svoltosi tra il commando israeliano armato di tutto punto e i civili disarmati presenti a bordo delle navi componenti la flotta, è stato un atto deliberato e premeditato.
Assassinii a sangue freddo, vere e proprie esecuzioni, corpi gettati in mare. Da alcune testimonianze è emerso che alcuni passeggeri sono stati ammazzati mentre sventolavano bandiera bianca in segno di resa. Alcuni attivisti che versavano in condizioni critiche sono morti perché volutamente lasciati senza cure mediche. Ovviamente a tutti i passeggeri, nessuno escluso, sono state sequestrate, e non più restituite, telecamere, macchine fotografiche, materiale di ripresa d’ogni genere. Non vedremo mai quello che hanno ripreso. Dai loro racconti però possiamo farcene un’idea.
Il reduce Joe Fallisi (a bordo della nave 8.000) parla di una esibizione incredibile di potenza militare con l’impiego persino di due sommergibili. “Gli israeliani sono saliti a bordo in un lampo: tutti col volto coperto da una maschera nera, armati fino ai denti, giubbotti antiproiettile, puntavano i loro mitragliatori”. Racconta poi di come al loro arrivo ad Ashdod (dove la nave è stata dirottata) sono stati denudati, fotografati, insultati, minacciati e persino derubati. “Durante i controlli ci hanno confiscato i passaporti, e ci hanno rubato tutto. Telefoni cellulari, macchine fotografiche, telecamere, qualunque oggetto. Ed anche soldi. Io avevo 300 euro, e me li hanno portati via”.
Iara Lee, cineasta brasiliana che seguiva l’operazione umanitaria per girare un documentario, ha raccontato in televisione dell’uccisione dell’operatore web della Mavi Marmarà (un’altra nave della flotta, quella dove gli israeliani hanno dato il peggio di sé): “l’uomo si trovava sul ponte di comando, proprio dove sono entrati i commando. Abbiamo trovato il suo corpo riverso, con un foro di proiettile alla nuca”. La regista, attualmente ricoverata a Istanbul dopo cinque giorni di prigionia nel carcere israeliano di Beer Sheva, ha aggiunto che molti corpi sono stati gettati in mare dai membri dei commando israeliani. Circostanza confermata anche dall’infermiera australiana Jenny Campbell, pure lei a bordo della Mavi Marmara assieme al marito.
Nicola Enchmarch, una neozelandese che era sul ponte, ha testimoniato che i commando giudei hanno sparato all’impazzata, dimostrandosi fin da subito “molto aggressivi e minacciosi”. L’attacco è durato 45 minuti, poi lei, che era scappata nel ponte inferiore, è stata catturata, ammanettata e ammassata con centinaia di altri: molti uomini erano anche bendati, costretti per 17 ore a stare in ginocchio, le mani legate dietro la schiena, in condizioni “orribili” senza poter neppure andare in bagno.
Sarah Colborne, britannica, ha raccontato al Guardian: “Si vedevano i raggi rossi dei puntatori laser andare qua e là sulle teste dei passeggeri. I proiettili sibilavano da ogni parte. Abbiamo chiesto agli israeliani di smettere”. Neppure urlando in inglese che non avrebbero opposto resistenza e chiedendo ai soldati di aiutare i feriti sono riusciti a placare le truppe. “Invece di aiutare i feriti hanno circondato il salone puntando i mirini laser sulle teste di alcuni”. Secondo la Colborne, hanno anche ammanettato la squadra medica che era sulla nave, impedendo il soccorso delle vittime.
Insomma, le truppe israeliane hanno replicato in piccolo quello che da anni impongono a Gaza.
Quando apriremo gli occhi, sarà sempre troppo tardi.
Antonio Schiavone
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