Categorie: Attualità

Meno male che l’Europa c’è

Mentre lo pseudo-governo italiano si prepara alla lotta intestina – tra il distruggo-tutto-quello-che-tocco Gianfranco e il sempre-duro-ma-mentalmente-instabile Silvio – l’Europa costruita a tavolino dalle lobby va sempre più a fondo.

Ed il motivo è proprio questo: l’eurocrazia non è riuscita a creare (non ne aveva la benché minima intenzione) una «identità europea». La menzogna della cooperazione è stata spazzata via dalla realtà: alla prima difficoltà, ognuno di nuovo per sé, contro tutti. Nulla di inspiegabile, né di clamoroso. Il naturale sbocco di un processo antidemocratico condotto nel dispregio delle più elementari norme del diritto.

Non è superfluo ricordare la rabbia ed il disprezzo vomitati sull’Irlanda che non accettava di piegarsi ai poteri non eletti, tanto che gli irlandesi furono costretti a rivotare una seconda volta il trattato di Lisbona. E c’è da scommetterci che finché non avesse democraticamente vinto il sì, si sarebbe votato ad oltranza. Del resto il trattato di Lisbona non era nient’altro che quella costituzione europea già respinta nei referendum del 2005 sia dalla Francia che dai Paesi Bassi, paesi fondatori della UE e non certo gli ultimi arrivati. Furono proprio queste due bocciature che convinsero i pupari a prendere un paio di accorgimenti, come l’evitare di far votare la popolazione e il rendere illeggibile il testo. Come gli eventi successivi hanno poi dimostrato, riuscirono in entrambi gli intenti: tranne che in Irlanda, in nessun paese europeo la popolazione poté esprimersi sul trattato, trasformato in una accozzaglia di migliaia di emendamenti a centinaia di regole per un totale di 2800 pagine tra note e note di note.

Non c’è quindi di che stupirsi se questo colossale inganno (del quale abbiamo raccontato solo una piccolissima parte) ha prodotto questo miserabile risultato. Sarebbe stato strano il contrario. Di fronte alla più grande crisi del secolo, quando sarebbe stato necessario un piano di rilancio comune e l’adozione di severe misure atte a stroncare finalmente il cancro della speculazione finanziaria, non si è riusciti a partorire nient’altro che le solite minacce di punizioni per i paesi che sforano i limiti che arbitrariamente sono stati imposti.

Incapaci di parlare di solidarietà e di sforzo comune, si sa blaterare soltanto di “osservanza delle regole”.
Dove per regole si intendono ovviamente le direttive europee sulla concorrenza e sul libero mercato: niente aiuti di stato, contenimento della spesa pubblica, aumento della competitività. Tradotte dall’eurocratese liberista significano rispettivamente: lasciar fallire le imprese e chiudere le fabbriche senza muovere un dito, smantellare lo stato sociale (assistenza sanitaria, pubblica istruzione, cassa integrazione, pensioni) e ridurre i salari dei lavoratori.
La ricetta unica che ostinatamente si prescrive (impone) in ogni situazione. Con il risultato che l’Europa è morta e sepolta.

Oggi tocca alla Grecia. A forza di aspettare, esitare, distinguere, pretendere, convincere, è stata lasciata praticamente fallire. A meno che non si creda che riesca a sopportare il blocco dei salari per tre anni e una correzione di 10 punti di Pil in due anni (queste le condizioni immani imposte dalla Germania ad Atene per usufruire degli – ormai irrisori a questo punto – aiuti: in italiano chiamasi ricatto).

D’accordo, avrà truccato i conti per entrare nell’euro. Ok, facciamo finta di credere che le discutibili operazioni effettuate da Goldman Sachs – alla quale nessuno, neppure per ipotesi, si azzarda ad attribuire qualche responsabilità – sul debito greco siano stati scoperte solo oggi (in realtà gli enti di controllo europei le conoscevano già dal 2003). Sì, tralasciamo che il paese ellenico non è stato l’unico paese (l’Italia ne sa qualcosa) a ricorrere ai trucchi contabili per circonvenire le norme europee (in verità il meccanismo utilizzato era perfettamente legale e consentito dal manuale sui bilanci pubblici rilasciato dall’Eurostat nel 2002). E già che ci siamo, diciamo pure che sono stupidi questi greci.

Ma chi è stato a prestare ad Atene a tassi bassissimi per anni, spingendola praticamente ad indebitarsi? A considerare il paese ellenico alla stregua della Germania?
Perché il nodo centrale è proprio questo: l’assurdità eurocratica di una zona monetaria unica tra paesi dalle economie completamente differenti, senza una fiscalità unica e senza una direzione politica. Maurizio Blondet scrive: “la Grecia s’è imbarcata come un passeggero clandestino sulla nave dell’euro, approfittando della credibilità che all’euro dà la presenza della potente Germania per indebitarsi a basso tasso. E ciò non vale solo per la Grecia. Anche Italia, Spagna, Portogallo hanno goduto dei bassi tassi per indebitarsi, e si sono indebitati troppo, avendo le classi politiche che sappiamo”. Il problema è che non avendo più una moneta propria, non possono svalutare e finiranno uno dopo l’altro strangolati dalla fune che allegramente si sono stretti al collo. Le banche francesi e tedesche – si chiede – avrebbero concesso ai greci lo stesso trattamento se la Grecia avesse avuto la dracma, soggetta a svalutazione?

Il risultato è che non potendo svalutare l’euro, dovrà svalutare il suo popolo e il suo lavoro. Aumentare le tasse e ridurre le spese. E pazienza se così facendo i consumi crolleranno ancora di più, la disoccupazione andrà alle stelle e la recessione diverrà un abisso insuperabile.

È l’Europa, bellezza!
Che presto – se persevererà nella cieca fede nel dogma globalista – sarà solo un ricordo.

Antonio Schiavone

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Antonio Schiavone

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